T. Ricciardi: Breve storia dell’emigrazione italiana in Svizzera

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Titel
Breve storia dell’emigrazione italiana in Svizzera.


Autor(en)
Ricciardi, Toni
Erschienen
Roma 2018: Donzelli Editore
Anzahl Seiten
246 S.
von
Fibbi Rosita

Toni Ricciardi ci offre un agile compendio della vicenda migratoria italiana in Svizzera che copre essenzialmente il secolo scorso per protrarsi fino al 2014. Il disegno dell’opera è originale perché si distacca sotto due profili da quanto esiste sulla storia della migrazione. Gli studi trattano in genere la materia come emigrazione, scegliendo il punto di vista del paese di origine o come immigrazione, prendendo il punto di vista del paese di insediamento. Queste impostazioni rimandano all’approccio del nazionalismo metodologico che iscrive ‘naturalmente’ la narrazione storica e sociologica nell’ambito di un singolo paese. Ricciardi invece abbraccia entrambe le prospettive, in una logica che, forse, riflette il suo vissuto, facendo del gruppo immigrato il fulcro della sua narrazione. Questo intento traspare chiaramente dal titolo: Storia dell’emigrazione italiana in Svizzera. Esso può apparire sorprendente a prima vista al lettore abituato alla classica visione dicotomica dell’oggetto migrazione ma palesa il suo significato in modo intellegibile a misura che si avanza nella lettura.

L’altro tratto distintivo del volume è quello della “storia a tutto tondo”, giustamente sottolineato da Sandro Cattacin nella sua prefazione: la storia della migrazione che traccia Ricciardi è al contempo storia economica, storia politica, storia diplomatica, storia dei processi culturali. Ciò conferisce spessore a vicende spesso dimenticate o accantonate in testi sulla materia che adottano sovente una unica ottica disciplinare.

Il progetto è ambizioso per l’intento di condensare in una ‘breve storia’ la vastità della materia così concepita ma l’autore può contare sulla sua ampia conoscenza maturata nel corso di più di 15 anni di studio. Il libro è destinato a un largo pubblico, come appare dall’apparato critico che privilegia il rinvio a scritti più dettagliati dell’autore rispetto a fonti originali che scoraggerebbero il lettore. Ma ci sembra di poter indovinare che si rivolge più direttamente ai protagonisti della storia raccontata, gli immigrati italiani stessi: vengono proposte e rammentate loro le vicende del gruppo senza presentare alcuni elementi di sfondo, dati per noti e scontati.

Questa angolatura specifica della narrazione traspare anche nella tesi che il campionato di calcio del 1982 rappresenta un punto di svolta nella percezione degli italiani in Svizzera: essa va compresa, a nostro parere, nella prospettiva ‘emic’ dell’insider. La vittoria nella competizione sportiva incide sull’auto-percezione del gruppo: in posizione subalterna sul piano socioeconomico nella società svizzera, gli italiani si liberano della postura difensiva nella quale si erano trovati costretti durante la lunga stagione xenofoba degli anni Settanta, per rivendicare un prestigio ‘mondiale’ su una scala di valori altra rispetto a quella che li ha visti a lungo perdenti. Dal punto di vista ‘etic’ dello studioso, il miglioramento della posizione relativa degli italiani in Svizzera, va situata in riferimento a meccanismi di natura sociologica (p. es. seconda generazione, ingresso di immigrati meno tutelati sul mercato per occupazioni 3D - dirty dangerous and demanding) e di natura geo-politica (p. es. avvicinamento all’UE).

La narrazione è suddivisa in cinque capitoli, i cui titoli non riescono sempre a illustrare la grande diversità degli aspetti trattati. Il primo capitolo reca traccia della difficoltà di organizzare una materia così vasta: esso risente, a nostro avviso, della mancanza di una struttura portante, quale potrebbe essere il filo conduttore cronologico, nell’affrontare temi così svariati come l’associazionismo italiano nel Novecento, le fasi dell’immigrazione in Svizzera a partire dal 1848 con i momenti chiave rappresentati dai trafori alpini, la costruzione dell’apparato normativo elvetico in materia di migrazione nel bel mezzo della Prima guerra mondiale e della rivoluzione di ottobre o la recente rivendicazione vallesana dell’italianità come tradizione vivente svizzera.

In seguito, la trattazione appare più limpida nel doppio riferimento al contesto italiano e a quello elvetico, in particolare intorno ai due accordi di migrazione, del 1948 e del 1964. L’autore mostra come i governi centristi italiani «scaricarono oltre confine i milioni di disoccupati prodotti dalla deflazione ferrea» (p. 52) causata dal risanamento del bilancio pubblico all’insegna di una emigrazione funzionale a calmierare le tensioni sociali del dopoguerra. Ma la funzionalità dell’emigrazione è una tesi comunque largamente condivisa presso tutte le forze politiche: il sindacalista Di Vittorio e l’agronomo Rossi-Doria, per esempio, ne ravvisano la necessità per lo sviluppo economico del Mezzogiorno.

D’altro canto, l’approfondimento della vicenda del divieto di discorsi politici degli immigrati nel 1948, varato dalle autorità elvetiche qualche mese prima della firma dell’accordo di migrazione con l’Italia svela risvolti poco noti. L’autore storicizza il provvedimento rispetto all’accoglienza in Svizzera di oppositori politici stranieri nell’Ottocento e al contempo lo contestualizza come baluardo contro la contaminazione tra immigrati ‘comunisti’ e lavoratori locali. Ciò si concretizza in espulsioni frequenti ‘per attività comunista’ di lavoratori militanti nell’ambito dell’associazionismo immigrato che si protraggono fino alla metà degli anni Settanta. D’altro canto, la politica migratoria elvetica vuole inoltre contribuire a contrastare il dilagare del comunismo in Italia facilitando l’esercizio dei diritti politici degli italiani espatriati nella convinzione che coloro che avevano conosciuto un sistema economico politico stabile votassero per i partiti dell’ordine e della stabilità. È in questa logica che va collocata la disponibilità delle autorità svizzere in particolare negli anni Cinquanta e Sessanta a favorire l’allestimento di treni speciali per consentire ai lavoratori di recarsi a votare nei comuni di residenza in Italia.

Il contesto e la portata del secondo accordo di migrazione, quello degli anni Sessanta, sono trattati in modo meno approfondito. L’autore non cita la firma della convenzione di sicurezza sociale del 1962 che consente agli italiani l’accesso all’assicurazione vecchiaia e invalidità nonché agli assegni familiari come peraltro la riduzione da 36 a 18 mesi del lasso di tempo per il ricongiungimento familiare: la modifica del 1964 apre, sebbene molto timidamente, la via alla stabilizzazione della presenza immigrata. Sono esempi di come la politica verso gli italiani ha funto da banco di prova della politica elvetica di ammissione in generale.

L’approccio della “storia a tutto tondo” si dispiega chiaramente nella discussione della presenza italiana – fatta di stagionali e di bambini clandestini – nel periodo marcato dalle ripetute iniziative xenofobe e dall’assenza di una chiara volontà politica di integrazione. Il capitolo spazia dai vari tipi di contingentamenti degli anni Sessanta decretati dalle autorità, agli scritti di Frisch, Dürrenmatt e Bichsel che portano uno sguardo autocritico sul paese, dall’autoorganizzazione del tempo libero da parte degli italiani con la Coppa Italia alla creazione dei Centri di contatto che puntano alla difesa degli interessi non solo degli italiani ma di tutti gli immigrati, dalla trasmissione della TSI Un’ora per voi alla tragedia di Mattmark.

Il ritmo della narrazione conosce poi una notevole accelerazione. Nelle pagine dell’ultimo capitolo si percorrono i 40 anni che vanno dalla crisi petrolifera del 1974 all’approvazione nel 2014 dell’iniziativa UDC “contro l’immigrazione di massa”. Si passa dall’esportazione della disoccupazione all’iniziativa per l’abolizione dello statuto dello stagionale e al rifiuto di una nuova legge sugli stranieri nel 1982; dall’avvio dei negoziati relativi alla domanda di adesione della Svizzera alla Comunità economica europea del maggio 1992 al rifiuto dello Spazio economico europeo nel dicembre 1992. A partire dalla fine degli anni Ottanta si compie una svolta: in seguito all’internazionalizzazione delle questioni migratorie, la politica elvetica si elabora non più nell’ambito del rapporto di forza tra paese d’origine e paese d’insediamento ma a livello bilaterale, tra Svizzera e Unione europea. In questo contesto, come mostra Ricciardi, le organizzazioni italiane confluiscono con quelle di altri gruppi immigrati nel portare avanti rivendicazioni rivolte all’autorità svizzere per migliorare le loro condizioni di vita: esemplari al riguardo sono le mobilitazioni per il diritto di voto locale. Da allora, la singolarità della vicenda migratoria italiana in Svizzera si attenua sempre più per sfociare nella più vasta questione migratoria e del rapporto del paese con varie forme di alterità al suo interno.

Il libro termina con riferimenti corsivi alle forme che prendono oggi i movimenti migratori italiani in Svizzera: dalla Sunset migration dei pensionati in direzione del paese d’origine e di cieli più clementi, ai flussi pendolari transfrontalieri e al recente composito afflusso di italiani. Questo complemento rende conto dell’attualità senza peraltro inserirsi compiutamente nel disegno dell’opera, trattando essenzialmente la prospettiva elvetica.

Per l’angolatura particolare adottata e la ricchezza degli aspetti trattati, il libro di Ricciardi rappresenta una stimolante lettura che permette agli italiani in questo paese di familiarizzarsi con lo spessore della presenza immigrata di quella che è diventata una componente costitutiva della realtà svizzera di oggi.

Zitierweise:
Fibbi, Rosita: Rezension zu: Ricciardi, Toni: Breve storia dell’emigrazione italiana in Svizzera, Roma 2018. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, 2021, Vol. 169 pagine 158-160.

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Archivio Storico Ticinese, 2021, Vol. 169 pagine 158-160.

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